Un altro vecchio articolo che ci ricorda quanto sia importante la libertà di scelta. E che ci ricorda che è sempre possibile esercitarla.
Avrebbe avuto una vita come tanti, fatta di lunghe sessioni di chemioterapia, ridotto a materia di sperimentazione di sempre nuovi farmaci. Attaccato ai medici come fossero potenti sciamani o misteriosi taumaturghi, avrebbe subordinato tutti i suoi desideri, tutti i suoi sogni ad un’unica, incrollabile speranza: guarire dal tumore. In una parola, sarebbe sopravvissuto.
Così non è stato. Uno studente americano di sedici anni, affetto da un tumore al sistema linfatico, ha deciso di fuggire l’ultimo ricatto su cui la medicina, intesa come corpo separato, fonda il proprio potere: la paura della morte. Con una borsa di vestiti, il suo skateboard e qualche centinaio di mille lire in tasca, ha lasciato la famiglia ed è partito. Di fronte ad un’esistenza che lo stava lentamente soffocando, ha scelto di andarsene. Subito, i cani da guardia di questa società di sopravviventi gli si sono messi alle calcagna. Un simile gesto di rivolta e di radicale appropriazione di sé non può che essere, agli occhi di tutti i rassegnati, una decisione tragica, dettata dalla disperazione. Lo vorrebbero in ospedale, per il suo bene. I genitori, invece, hanno chiesto subito di interrompere le ricerche, accogliendo con insolita dignità la decisione del figlio.
I medici sono rimasti senza una macchina da ricomporre, con un corpo da curare in meno. L’industria farmaceutica ha perso un’occasione di ricerca. Dovranno fare a meno di lui, perché è altrove. A vivere pienamente, e non più con un occhio sempre volto all’orologio.
Se ne è andato, e buonanotte ai suonatori.