Le storie, quando non hanno un nome, sembrano quasi inventate. Lui si chiamava Manuel Eliantonio ed è morto nel carcere di Marassi nel 2008.
Manuel era stato condannato a cinque mesi per resistenza a pubblico ufficiale. Era obbligato ad ingerire farmaci devastanti che lui non voleva. Quando poteva, li sputava. Manuel però doveva avere un senso della dignità che non gli permetteva di obbedire in silenzio e a testa bassa, come avrebbero voluto i suoi carcerieri. Per questo veniva regolarmente pestato e sbattuto in isolamento, come un maiale in attesa del macello. Solo che Manuel non aspettava la morte, ma la fine della pena, l’aria aperta. L’hanno ammazzato otto giorni prima che potesse ottenerla. Di fronte a un cadavere tumefatto e pieno di lividi, hanno avuto il coraggio di dire che Manuel si è suicidato respirando il gas di un fornelletto da campeggio.
Manuel non è l’unico prigioniero ucciso dallo stato e dai suoi schiavi. Ogni anno ne muoiono mediamente 150 e la cifra sta aumentando nel tempo. Un terzo sono classificati come suicidi, come Manuel. I pestaggi avvengono quotidianamente nelle carceri. Chi è dipendente da una sostanza riceve di solito la terapia, cioè il metadone, che i medici e i volontari della Croce Rossa utilizzano come arma di ricatto, concedendola a chi si sottomette alle regole della galera e negandola agli altri. Chi alza la testa viene picchiato selvaggiamente, oppure gli aguzzini tentano di spezzarlo imbottendolo di psicofarmaci o mettendolo in isolamento, anche per lunghi periodi.
Si fa un gran parlare di rieducare la persona (come se infrangere la legge significasse essere malato e/o ignorante), vengono esposte mostre con le opere d’arte realizzate dai prigionieri, li si utilizza come manodopera quasi gratuita seguendo il vecchio slogan nazista “il lavoro rende liberi”. Tutta questa retorica è ripugnante, la verità è che il carcere serve a togliere di mezzo certe persone. Poco importa che siano gli assassini e i torturatori sui quali prosperano i telegiornali, o che siano semplicemente tossicodipendenti, prostitute, immigrati clandestini, dissidenti politici o ladri di motorini. Vengono sbattuti tutti insieme in un calderone assassino ben protetto dagli sguardi e dalla sensibilità dei bravi cittadini. Lì possono essere comodamente torturati da guardie che, per un misero stipendio, infliggono sofferenze al prossimo. Ma che non sono criminali, perché loro torturano per conto dello stato, come i soldati, coloro che ordinano le guerre e i produttori delle rinomate mine antiuomo italiane, tutta gente molto più pericolosa del peggior maniaco assassino… ma il carcere non è stato pensato per loro. E se queste guardie, ogni tanto, si lasciano prendere un po’ troppo la mano e uccidono qualcuno, non chiamateli mele marce. Sono servi dello stato, fedeli nei secoli, solo che sono un po’ meno fortunati o un po’ meno furbi dei loro colleghi.
la mela marcia dell’albero dell’umanità.