Repressione democratica e fascista

L’Italia è una repubblica democratica fondata sul fascismo.
L’affermazione, provocatoria ma non certo paradossale, diventa evidente se si analizzano alcune sfaccettature dell’apparato repressivo. In una democrazia pura – di quelle che non sono mai esistite e probabilmente non possono esistere – il meccanismo della repressione è semplice: il governo fa le leggi, la polizia arresta i trasgressori, la magistratura li giudica e li condanna. Questo però implica un limite che la repressione italiana non è più disposta a tollerare: il fatto che chi non accetta l’attuale stato di cose e si batte per cambiarlo, finchè non commette precisi reati, non può essere “tolto di mezzo”.
E’ proprio qui che entra in gioco il fascismo. Il codice Rocco forniva – e fornisce tuttora, non essendo stato cancellato – alle questure un comodo strumento chiamato sorveglianza speciale. Si tratta di una serie di forti restrizioni alla libertà personale atte a punire una persona e rendere le sue azioni molto più controllabili. Si tratta – così come per il foglio di via – di una misura preventiva, cioè un provvedimento che può essere affibiato da un questore a un individuo, indipendentemente dal fatto che la persona abbia commesso o meno un qualsivoglia reato. Il fine è il mantenimento dell’ordine pubblico e della pubblica moralità, due concetti estremamente soggettivi e aleatori: qualora il questore ritenga che qualcuno costituisca un problema politico o sociale, è autorizzato ad appioppargli la sorveglianza speciale. La decisione deve poi essere confermata sbrigativamente da un tribunale amministrativo. Le restrizioni, che possono essere applicate in toto o solo in parte, comprendono:
il divieto di frequentare più di tre persone per volta, e comunque di frequentare pregiudicati, il ritiro del passaporto e della patente, il divieto di lasciare il luogo di residenza, il divieto di uscire durante le ore notturne, il divieto di partecipare a manifestazioni pubbliche e il divieto di frequentare bettole e osterie, a volte perfino l’obbligo di presentarsi giornalmente in questura. Poichè ora viviamo in una democrazia, è stato abolito il divieto di camminare sul marciapiede. Grazie!
Tutto ciò non può stupire chi abbia – per volontà o per sventura – gettato almeno una volta lo sguardo dentro le carceri. Le prigioni sono piene di persone che non potrebbero essere lì in uno “Stato di diritto”: gente in attesa di giudizio o comunque appellanti, cioè individui che non sono ancora state giudicati “colpevoli”. La logica repressiva appare così più chiara: non importa tanto punire chi ha effettivamente commesso un reato, quanto piuttosto applicare preventivamente misure repressive su chi potrebbe commetterlo. Non sono sottoposte a giudizio le singole azioni, ma la persona: la sua posizione sociale e il suo modo di pensare e agire. Ecco così che l’uso moderno del carcere preventivo e le vecchie misure preventive del codice Rocco trovano una loro coerenza.
A Genova un nostro compagno rischia di essere sottoposto alla sorveglianza speciale, mentre molti altri hanno ricevuto un avviso orale (formalità che potrebbe precedere l’applicazione della sorveglianza) e uno ha ricevuto un foglio di via; decine di denunce sono piovute per svariati reati minori. La questura non sembra aver gradito le contestazioni agli alpini che appestano la città, ai banchetti della Lega Nord, la campagna contro le deportazioni e i Centri di Identificazione ed Espulsione (altro chiaro nesso con il fascismo) e l’occupazione di uno stabile sfitto a Castelletto. Non sembrano aver gradito, insomma, che qualcuno pensi che in questo mondo vi sia qualcosa di profondamente sbagliato che deve mutare radicalmente. Se agire contro l’esistente può essere un reato punibile con il carcere, essere contro questa tanto decantata democrazia è una sorta di reato informale, che può portare all’applicazione di misure preventive ideate dal regime fascista.

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